Wilde alla sbarra

Pubblicato in Italia da Kaos edizioni nel 2010, il Dossier Oscar Wilde a cura di William Badford (tradotto da Lorenzo Ruggiero) riunisce in volume la trascrizione dei tre processi che videro protagonista Wilde tra l’aprile e il maggio del 1895 e la lunghissima lettera (una ventina di grandi fogli minutamente manoscritti) che Wilde, due anni dopo, indirizzò ad Alfred Douglas e nota con il titolo di De profundis.
Wilde e lord Douglas si erano conosciuti nell’estate del 1891 e la loro amicizia era subito diventata strettissima, tanto che Bosie (tale il nomignolo con cui lo scrittore chiamava Alfred) era diventato una specie di ombra di Wilde. I due stavano sempre assieme.
Una relazione, la loro, malvista dal padre di Bosie, lord Queensberry, che arrivò ad accusare il celebre scrittore di «posare a somdomita» (sic).
Wilde rispose al biglietto denunciando lord Queensberry per calunnia, cosa che fece allestire il primo processo, nel quale nonostante Wilde fosse colui che muoveva l’accusa, ebbe subito il ruolo, non ufficialmente dichiarato, di imputato. Infatti, i legali di lord Queensberry, per stabilire che l’insulto che il loro assistito aveva rivolto a Wilde non fosse una calunnia, fecero in modo di dimostrare come, effettivamente, Wilde “posasse” a sodomita.
La lettura delle carte del processo mostra come Wilde fosse una sorta di gigante interrogato da nani cattivi e in malafede, il cui unico obiettivo era quello di metterlo in cattiva luce di fronte all’opinione pubblica puritana inglese, piuttosto che quello di accertare i fatti.
Lo si interrogò su un racconto non suo nel quale si descriveva una relazione omosessuale; lo si accusò di essere un cattivo maestro per i giovani lettori dei sui aforismi e si lesse il suo Ritratto di Dorian Gray alla stregua di un diario autobiografico.
Per non dire dell’acrimonia con la quale Wilde fu accusato di avere un doppio fine nel suo non attenersi alle rigide distinzioni di classe che la società dell’epoca imponeva a chiunque: egli frequentava giovani di estrazione sociale inferiore alla sua con l’unico obiettivo di portarseli a letto.
Alla fine, Wilde dovette ritirare l’accusa, perché era chiaro che era impossibile per lui dimostrare di non “posare” a sodomita.
Da accusatore divenne immediatamente (ufficialmente) imputato in un processo per atti osceni (“gross indecency”): accusa, ricorda il curatore, atta a «sanzionare i rapporti di carattere omosessuale maschile là dove non sia dimostrato lo specifico reato di sodomia».
Durante tale processo si entrò nello specifico della vita e dei gusti sessuali di Wilde, raccontati dai giovani con i quali lo scrittore era entrato in rapporto; ragazzi che tennero molto a mostrarsi come delle vittime adescate da un uomo maturo che li induceva a bere troppo e, poi, li sodomizzava (ricompensandoli, poi, del torto subito con soldi e regali).
Durante il processo Wilde fu anche chiamato a spiegare una poesia scritta da Alfred Douglas (Due amori), nella quale compare un verso diventato tristemente celebre (ma che quasi nessuno riconduce al suo vero autore): «Io sono l’Amore che non osa dire il suo nome», ossia, come spiegò Wilde, l’Amore puro che un uomo maturo può provare nei confronti di un giovane uomo (e soltanto uno).
È bello, è raffinato, è la forma più nobile di affetto. Non ha proprio nulla di innaturale. È intellettuale, e sovente si instaura tra un uomo maturo e un uomo più giovane, laddove l’uomo maturo ha il ben dell’intelletto, mentre il giovane ha tutta la gioia, la speranza e il fascino della vita davanti a sé.
Il processo si concluse con un nulla di fatto e fu ripetuto.
Il terzo processo, sempre con Wilde sul banco degli imputati, terminò con la condanna dello scrittore a due anni di lavori forzati (ossia al massimo della pena per quel reato) e il giudice commentò che la pena era inadeguata (perché “lieve”) per un crimine «così grave che si è costretti a farsi violenza, per non scivolare nella più greve esternazione del disgusto provato da ogni uomo d’onore».
Nel De profundis Wilde ripercorre la storia della sua amicizia con Bosie, arrivando a massacrare l’alta opinione che il ragazzo aveva di se stesso.
Si scopre, così, che la loro fu una relazione tutt’altro che tranquilla e felice (e non solo per gli esiti tragici e dolorosi): una storia costellata da continui litigi e regolata dalle scenate isteriche di Alfred.
Wilde non esitò a descrivere Bosie come una sorta di scervellato ragazzo, dedito al piacere, un mantenuto per necesità, non meno che per gusto. Un essere indegno dell’amicizia e dell’affetto che Wilde pure nutriva per lui. Una sorta di “indemoniato” per sfuggire dall’influenza negativa del quale, Wilde arrivo letteramente a fuggire dall’Inghilterra. Ma invano, dato che bastava che Alfred chiedesse scusa per il suo comportamento che Wilde fosse pronto a scusarlo.
Il De profundis non arrivò mai al destinatario: uscito di prigione, Wilde e Alfred si rividero e tentarono di riprendere la loro amicizia.
La lettera fu integralmente pubblicata solo nel 1962.
Dossier Oscar Wilde è un libro la cui lettura si consiglia perché mostra i processi cui Wilde fu sottoposto nella loro luce sinistra; senza mediazioni.
Il De profundis, poi, è un libro che andrebbe letto non solo per il suo essere un documento della relazione tra Wilde e Bosie; ma anche e soprattutto perché mostra un Wilde diverso dal solito: un uomo che ha scoperto il dolore e ne è rimasto travolto. Un artista che non si arrende e che vuole usare l’esperienza dolorosa che ha vissuto per diventare un uomo più profondo e, di conseguenza, un artista più profondo.
E tale lo descrisse anche André Gide nel suo Oscar Wilde. In memoriam.

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