Il ragazzo che Shakespeare amava


Come è noto, i Sonetti di Shakespeare sono dedicati a un uomo, finora rimasto ignoto. Molti commentatori ritengono che dietro il dedicatario degli stessi indicato con le sole iniziali W.H. si nasconda il conte di Southampton Hanry Wriothesly, già dedicatario dei due poemetti di Shakespeare Venere e Adone e Il ratto di Lucrezia.
Altri, soprattutto in passato, in Mr W.H. avevano riconosciuto William Herbert, III conte di Pembroke.
Oscar Wilde in Il ritratto di Mr W.H. segue l’ipotesi che le iniziali rimandino a un certo William Hughes, teoria avanzata nel 1766 da Thomas Tyrwhitt (mai citato nel romanzo di Wilde).
Per Wilde, come spiega meravigliosamente e in modo assai convincente nel suo saggio in forma di romanzo breve, Hughes altri non era che uno di quei giovinetti che nel teatro elisabettiano recitavano le parti femminili, essendo negata alle donne la possibilità di calcare i palcoscenici.
Di strepitosa bellezza, Hughes avrebbe fatto innamorato di sé Shakespeare che lo avrebbe prima indotto a diventare attore e, poi, ne sarebbe diventato l’amante.
Hughes, inoltre, per Wilde sarebbe l’ispiratore di molte delle più belle figure femminili del teatro di Shakespeare e, per primo, le avrebbe interpretate sulla scena.
Ma a rovinare l’intesa artistica e amorosa tra Shakespeare e il suo bel giovine intervenne non solo la dark lady di cui si parla nei Sonetti stessi, ma anche un rivale artistico di Shakespeare: Marlowe che riuscì a “rubare” Hughes alla compagnia di Shakespeare e a fargli interpretare Gaveston, il favorito di Edoardo II nella omonima tragedia...
Nel romanzo, per avvalorare la sua tesi, Wilde fa anche una breve storia di alcuni dei più famosi giovinetti che recitarono le parti femminili ai tempi di Shakespeare e non esita a spiegare ai propri lettori che durante il Rinascimento inglese, il neoplatonismo divenne di gran moda e con esso il concetto di amicizia maschile così come si può leggere nel Simposio di Platone.
E, proprio con il Simposio, Wilde mette in parallelo i Sonetti di Shakespeare.
Attenzione: si fa riferimento al finale del romanzo.
Come detto, l’analisi di Wilde dei Sonetti di Shakespeare pare molto convincente e il fatto che il dedicatario non fosse un nobile, ma un giovane attore riesce a rendere chiari molti versi che, altrimenti, restano misteriosi.
Ma al termine del romanzo, con un vero e proprio colpo di teatro, Wilde rimescola le carte e afferma di non credere più a questa teoria per il semplice fatto che dell’esistenza di Hughes non si trova traccia.
Al lettore resta “l’amaro in bocca” e dovrà decidere se credere al Wilde sostenitore della tesi del giovane attore, o a quello che la smonta.
Ad ogni modo, il romanzo resta assai godibile e merita di essere letto.
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Twitter: @daniloruocco
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