Il matematico indiano nell'Inghilterra di inizio Novecento

Il matematico indiano di David Leavitt, edito in Italia nel 2008 da Mondadori, è davvero un bel romanzo, nel quale è ricostruita la vita di tre matematici: Srinivasa Aiyangar Ramanujan (il matematico indiano del titolo), Godfrey Harold Hardy (scopritore del talento di Ramanujan e suo mentore) e John Edensor Littlewood (stretto collaboratore di Hardy).
Va da sé che, essendo un romanzo e non una biografia, alcuni dei fatti e dei personaggi che si trovano nel libro sono frutto della fantasia dell’Autore. Ma, in linea di massima - lo si apprende dalla lettura delle fonti consultate da Leavitt in calce al romanzo - l’Autore si è mantenuto abbastanza fedele alla verità storica.

La vita del matematico indiano è, nel romanzo, ricostruita attraverso la visione che di lui ebbero le persone che gli furono vicine, prima tra tutte Hardy che ne comprese il genio e ne indirizzò la carriera accademica. 
Una vita tragica e breve, quella di Ramanujan, stroncata da una malattia che i medici (sia inglesi, sia indiani) non riuscirono a curare, anche perché, probabilmente, sbagliarono clamorosamente diagnosi.
Ma il libro - come detto - non ricostruisce solo la vita di Ramanujan, ma anche di Hardy (che la ricorda e la racconta) e di Littlewood. 
Leavitt sembra soprattutto affascinato dalla biografia di Hardy (un genio al pari di Ramanujan) cui dedica uno spazio uguale, se non maggiore, di quello dato al matematico indiano; mentre pare aver giocato con la biografia di Littlewood, inventandone molti risvolti.


Attraverso il poderoso romanzo, che, nella versione italiana di Delfina Vezzoli, sfiora le 600 pagine, Leavitt ricostruisce, con maestria, l’abiente di Cambridge di inizio Novecento.
Un ambiente in cui notevole era l’influsso intellettuale degli Apostoli (di cui Hardy era uno dei maggiori esponenti): un gruppo di professori e allievi uniti non solo da interessi accademici, ma anche affettivi e sessuali, essendo molti di loro (se non quasi tutti) omosessuali. 
Un’omosessualità, la loro, vissuta abbastanza disinvoltamente in privato, ma taciuta o negata in pubblico, anche in ragione del fatto che, ai tempi, l’omosessualità, in Inghilterra, era condannata come reato.
Ecco allora, che, alcuni di loro si lasciavano andare a pubbliche esternazioni omofobe, che, nelle loro intenzioni, avevano l’obiettivo di allontanare da loro i “sospetti”. Molti di loro, poi, prendevano moglie per convenienza sociale.
Non così Hardy, di cui Leavitt ci racconta le storie d’amore, che seppure non parlasse pubblicamente della sua omosessualità, non finse di essere altro da ciò che era.


Un libro, Il matematico indiano, che sembra essere stato scritto in stato di grazia e che si legge con molto interesse.

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