Da chi e per quale motivo fu brutalmente assassinato Pasolini?


In questi giorni in edicola - edito da La Gazzetta dello Sport nella collana “Storia dei grandi segreti d’Italia” - è disponibile il saggio La morte di Pasolini di Davide Serafino (già autore, per la medesima collana, del volume dedicato al sequestro Moro). 


Nel libro che ricostruisce la barbara uccisione di Pier Paolo Pasolini, Serafino parte dai fatti (ossia dall’arresto di Pino Pelosi la notte dell’omicidio); fa un quadro del contesto in cui maturò il delitto; e tenta un ritratto sia della vittima (ma Pasolini non era uomo che si possa ritrarre in poche pagine) e sia dei possibili sicari. 

Infine, il saggista tenta di definire il movente dell’aggressione-omicidio.


Per quanto attiene ai fatti, pare ormai certo che Pelosi, quella notte, non fosse solo all’Idroscalo di Ostia e che l’aggressione al regista e il conseguente delitto fossero, perciò, premeditati.

Oltre a Pelosi - che in primo grado fu giudicato colpevole di omicidio in concorso con ignoti - sembrerebbe ormai certa la presenza sul luogo del delitto anche di personaggi legati al mondo della destra neofascista ed eversiva come i fratelli Giuseppe e Franco Borsellino (detti rispettivamente “Braciola” e “Bracioletta”) e Giuseppe Mastini (meglio noto come “Johnny lo zingaro”).

Oltre a loro (che a più riprese si vantarono di essere gli esecutori dell’omicidio), pare fossero presenti almeno altre tre persone.


Un vero e proprio agguato, quello ordito ai danni di Pasolini, che già Oriana Fallaci, all’indomani del delitto, aveva definito come tale, ponendo, tra l’altro, l’accento sul fatto che “Pelosino” (così veniva chiamato Pelosi, in ragione della sua corporatura minuta) certo non avrebbe potuto, da solo, avere la meglio in una colluttazione contro Pasolini che, non si scordi, era uomo atletico, vigoroso e in perfetta forma fisica. 


Serafino, poi, nella parte del volume dedicata al contesto in cui il delitto maturò, ricorda come quelli furono gli anni della “strategia della tensione”, ordita in prima istanza dalla destra neofascista di matrice eversiva che aveva come fine quello di rendere accettabile una sostanziale riduzione della democrazia in Italia.

Pasolini, in quegli anni, nella sua veste di opinionista, tornò più volte sulla “strategia della tensione” e su chi potessero essere i mandanti delle “stragi di Stato”. 

Celebre il suo articolo Io so. Cos’è questo golpe? apparso sul “Corriere della Sera” il 14.11.1974, in cui Pasolini afferma di sapere i nomi dei responsabili delle stragi di Piazza Fontana a Milano; di piazza della Loggia a Brescia e dell’Italicus a Bologna. 

Di sapere i nomi, ma di non avere le prove.


Il fatto che Pasolini potesse essere venuto a conoscenza di segreti di Stato inconfessabili anche lavorando al romanzo Petrolio, è indicato da alcuni come il possibile movente dell’agguato.

Serafino, però, sembra pendere verso l’ipotesi che Pasolini sia stato aggredito in modo feroce (e ucciso) per ciò che rappresentava: un uomo libero, di sinistra, antiborghese e che non nascondeva la sua omosessualità e, perciò, odiato dalla destra neofascista eversiva e omofoba. 


Ci si permette, però, di osservare che le due ipotesi (quella legata ai misteri di Petrolio e quella della “spedizione punitiva” ad opera della destra neofascista ed eversiva) non sono in antitesi tra loro come potrebbe sembrare in prima battuta.


Un volume agile, quello di Serafino, di cui si consiglia la lettura.


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