Matteo B. Bianchi, Tondelli e la letteratura omosessuale | Intervista del 2002


Ho intervistato Matteo B. Bianchi il 2.9.2002 per un sito dedicato a Pier Vittorio Tondelli che oggi non è più online (forse da molti anni).

L’intervista si svolse nei giardini di via Palestro a Milano (proprio da quel 2002 intitolati a Indro Montanelli) e durante l’incontro ho scattato a Matteo B. Bianchi la foto che pubblico qui.

Durante l’intervista, oltre che di Tondelli, abbiamo parlato anche di un paio di libri dello stesso Bianchi e della letteratura omosessuale.

Ripropongo qui l’intervista così come l’ho trascritta, non essendo minimamente in grado di stabilire se era andata online integralmente o meno.

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Intervista a Matteo B. Bianchi del 2/9/02
Di Danilo Ruocco

- Quando si parla di Tondelli che cosa ti viene in mente?

- Tante cose, a iniziare dai ricordi personali: ho avuto la fortuna di conoscere Pier in un momento importante per me, perché da poco avevo iniziato a dedicarmi con serietà alla scrittura e Tondelli era l’unica figura letteraria di riferimento che avevo allora, perché era l’unico autore che aveva inserito nella sua narrazione dei riferimenti musicali e cinematografici che avevano a che fare anche con il mio mondo. 

Ho conosciuto Tondelli, tramite Andrea Mancinelli, al bar, così come ho raccontato in “Caro Pier…”. 

Dopo quella sera, abbiamo iniziato a frequentarci in maniera molto light: nell’ultimo anno che lui è rimasto a Milano, ci siamo visti quattro o cinque volte e ci sentivamo per telefono. 

Io avevo nei suoi confronti una sorta di timore reverenziale… 

I miei ricordi sono, quindi, personali e slegati dai discorsi fatti in seguito sui giornali, anche di “rivalutazione” (sia nella chiave religiosa, sia nella chiave dell’autore maledetto).


- Quando Enos Rota ti ha chiesto di scrivere la prefazione a “Caro Pier…” che cosa hai pensato?

- Enos non mi ha chiesto di scrivere la prefazione, ma ho conosciuto Enos mandandogli il racconto. Poi, lui, mi ha chiesto di usare quel racconto come prefazione. 

Penso che oggi sia interessante vedere come tra i nomi di quelle lettere di “Caro Pier…” ci siano quelli di autori che sono diventati, poi, anche famosi. 

Il progetto ha dimostrato di aver coinvolto una serie di energie importanti.


- Prima parlavi della “rivalutazione” di Tondelli in chiave religiosa o maledetta. Condividi qualcuna di queste chiavi?

- Io non condivido nessuna di queste chiavi: l’aggettivo che mi viene in mente pensando a Pier è “contemporaneo”, contemporaneo alla sua epoca. 

Spesso ci si dimentica che l’analisi degli anni Ottanta di “Un weekend postmoderno”, Tondelli l’ha fatta mentre gli anni Ottanta erano in corso: riusciva a vedere le cose mentre stavano succedendo e, ciò, è un grande merito. 

A ciò, va, poi, aggiunto che Tondelli ha fatto con “Under 25” una sorta di rivoluzione all’interno del mondo editoriale: le prime critiche che erano uscite a “Under 25” guardavano al prodotto come una sorta di stranezza, una sorta di bizza d’autore! Tondelli ha investito il suo nome per promuovere gli altri: la sua è stata una lezione di generosità.


- “Madonna come sono felice”*

- Questa è una frase volutamente pensata e studiata per metterla alla fine del libro: mi piaceva concludere un romanzo a tematica omosessuale con un’immagine di grande serenità. 

Poi c’è, in “Generations of love”, una “coda” finale, in cui in questa felicità si inserisce un dubbio, un tarlo, un’insicurezza: dico proprio “Io sono il tarlo che mi rode”… Volevo che fosse un finale felice, ma non consolatorio. 


- “No che non ero pronto”**

- I miei libri hanno l’esigenza di entrare subito nel discorso: “Generations of love” inizia con la frase “Da piccolo non sapevo di essere omosessuale”, come dire “Stiamo parlando di ‘quello’”, subito, riga uno, frase uno. 

“No che non ero pronto”, perché “Fermati tanto così” è il resoconto di un’esperienza alla quale non ero pronto e che, per me, non è stata un’esperienza di successo, ma un’esperienza nella quale ho dovuto fare, spesso, i conti con i miei limiti. 

Quindi è un libro che denuncia molti fallimenti. “No che non ero pronto” è una chiave di lettura del tipo di narrazione che ti aspetta, perché è il viaggio di una persona attraverso un universo che non conosce che si presenta molto più difficoltoso di quanto si sarebbe immaginato che fosse… 

Facendo questa esperienza, ho capito, tra l’altro, che stavo sbagliando i miei studi di filosofia ad indirizzo psicologico, perché non ero una persona portata all’analisi, alla psicologia, in quanto sono poco in grado di tenere a freno i miei sentimenti, ma sono molto emotivo e poco distaccato.


- “Io pensavo di capirli meglio questi bambini. E il mio non era un discorso di meriti o competenze. Era l’eredità di una sofferenza comune”***.

- È una sorta di riconoscimento che ho sviluppato con il tempo (e non è un caso che tale riconoscimento avviene oltre la metà del libro) e che mi ha fatto rendere conto che condividevo, con i bambini psicotici del romanzo, una serie di difficoltà legate alla crescita che, forse, i miei colleghi non avevano vissuto. 

Nel mio caso, era di essere omosessuale, cosa che mi ha portato, da piccolo, ad essere preso in giro, a dover attraversare un momento difficile, di accettazione da parte del gruppo, per esempio. 

Ho visto questi bambini vivere le stesse difficoltà, ma legate ad altre problematiche (instabilità emotiva, problemi caratteriali e così via)… 

Questo è l’aspetto politico del mio romanzo: credo che l’aver attraversato un percorso personale doloroso, può voler dire poter offrire una comprensione molto forte rispetto a certi percorsi altrettanto dolorosi. 

Affermare che un gay non può fare il maestro elementare è un’aberrazione insostenibile.


- Ora come vivi la tua omosessualità?

- Vivo la mia omosessualità come una condizione di assoluta normalità… Sono dichiarato con chiunque, perché mi viene naturale farlo e, se qualcuno mi chiede “Tu con chi vivi”, rispondo “Con il mio ragazzo”, saltando il passaggio “Guarda che devo dirti che sono gay…”


- Un tuo giudizio sulla letteratura omosessuale contemporanea in Italia?

- Non parlerei di una “scena omosessuale italiana”: ci sono degli autori che stanno dicendo delle cose molto interessanti come, primo tra tutti, Marco Mancassola, ma anche Andrea Demarchi o Andrea Mancinelli che hanno scritto dei libri molto interessanti o autori come Andrea Rossetti con il quale condivido un’idea un po’ camp della letteratura. 

Ci sono delle voci che cominciano a farsi sentire… però ognuno di questi autori sta inseguendo un percorso individuale.


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Finale di “Generations of love” di M.B.B.

** Incipit di “Fermati tanto così” di M.B.B.

*** “Fermati tanto così”, p. 76.

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