Lo zibaldone gay di Dustan


Nicolas Pages di Guillaume Dustan, edito in Italia da Castelvecchi, è un libro fondamentale per comprendere cosa significhi Liberazione omosessuale, ma se hai ingerito un manico di scopa, non è il genere di libro che fa per te.

Non lo è perché Dustan racconta la vita (quella vera); dice la verità (fino in fondo e con crudezza); usa un linguaggio diretto e al limite del brutale; guarda il lettore negli occhi e gli parla con franchezza.

Gli rivela le gioie e i segreti del sesso estremo e delle droghe; descrive i corpi sudati che ballano nei locali gay; rievoca gli ambienti saturi di fantasie virili; rivendica il diritto di disporre completamente del proprio corpo; parla liberamente di disagio, malattia e sieropositività; di sesso non protetto; e di Amore (tra uomini, ovviamente; incasinato, ovviamente).


E, facendolo, scrive di Liberazione: liberazione sessuale; liberazione amorosa; liberazione individuale; liberazione collettiva.

Di come sia difficile liberarsi dalle catene imposte dalla società patriarcale e sessuofobica; di come sia necessario il farlo; di come quello della liberazione sia un percorso che si inizia da soli, ma si prosegue assieme agli altri.

Di come sia vitale che esista una Comunità che ti supporti e da supportare a propria volta.


Dustan affronta tutte le tematiche di cui si è detto sempre in prima persona e il perché lo spiega nel libro: «In letteratura, o è l’io o è aria fritta.».

E, quindi, il libro (che pare riduttivo ingabbiare nella definzione di romanzo), pur avendo come titolo il nome e cognome di un altro scrittore (amato da Dustan al punto da assumerne lo stile di scrittura), parla, prima di tutto, di Dustan stesso; del suo pensiero, oltre che della sua vita; delle sue storie d’amore; dei suoi incontri sessuali; dei suoi progetti editoriali; ma, tra le altre cose, analizza anche e la vita e la letteratura gay degli Anni Novanta.


Un libro che, più che un romanzo, è uno zibaldone ragionato e compiuto: in esso Dustan riunisce scritti di varia natura, dando loro un filo narrativo unitario, anche se mutevole.

Ossia, la narrazione di Dustan muta (anche stilisticamente) con il mutare delle situazioni; delle persone con le quali l’Io-vivente-e-narrante interagisce; del cambiare (spesso repentino) dei suoi stati d’animo.


Uno zibaldone con un corpo e non solo una mente: oltre al pensiero di Dustan, infatti, nel libro è presente, molto (fortunatamente), anche il suo corpo.


Uno zibaldone che è quasi un blog ante-litteram e, per tale ragione, proprio come un blog, non destinato ad avere un termine definitivo.

Ovvero la parola Fine è solo momentanea…


Un libro di cui si consiglia vivamente l’attenta lettura.


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